di Barbara Nevosi
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“Anvedi
er Freddo, ma che s’è messo a fa’ teatro?!”. I romani che non sanno che Vinicio
Marchioni calca le scene da oltre 15 anni probabilmente diranno questo nel
vederlo sulla ribalta dell’Argentina, diretto da Antonio Latella in “Un tram
che si chiama desiderio”. Ma lui, il Freddo nella serie tv Romanzo Criminale,
che di polvere in palcoscenico ne ha mangiata abbastanza, non nasconde un certo
timore per il debutto romano (domani ore 20.45) del classico di Tennessee
Williams. L’attore, romano di origini calabresi, racconta a Metro di sé,
dell’ammirazione per Bellocchio e di quella volta sul set di Woody Allen quando
si è innamorato di Roberto Benigni.
Vinicio, secondo
lei in cosa si manifesta la cifra
stilistica di Antonio Latella nello spettacolo?
La
messinscena è priva di qualsiasi tipo di realismo, la drammaturgia creata da
Antonio è riuscita a togliere un po’ di polvere dal testo. Tutti conoscono la
storia per il film con Marlon Brando che si discosta da Tennessee Williams. Noi
invece siamo vicini all’autore che tratteggia l’anima alta, sensibile e
profonda di Blanche DuBois.
A proposito di
Blanche, lei è in scena con Laura Marinoni…
Sì,
da un’attrice come lei si può solo imparare. E’ la protagonista e il suo
personaggio fa da specchio a tutti gli altri. Ad un certo punto ci si domanda:
ma siamo sicuri che la matta sia lei? Non è invece che i pazzi sono tutti gli
altri?
Ma ci dica di Stanley,
il suo personaggio. E’ davvero così burbero e violento?
Sì.
E’ una specie di scimmione volgare che affronta la vita di petto. Nella
messinscena ci siamo soffermati sulla sua identità domandandoci quali fossero
le motivazioni reali che lo portano ad essere così.
Come si è preparato
per il ruolo?
Con
molte letture a tavolino, diversamente da quello che fa di solito Latella, e
facendo indagine psicologica sui personaggi. Sono onorato di lavorare con un
regista e una compagnia di questo calibro.
A proposito di
desiderio, quello di Vinicio Marchioni per chi pulsa?
La
famiglia prima di tutto. Il desiderio è riuscire a mantenere la serenità più a
lungo possibile perché credo che senza gli affetti sia difficile fare qualsiasi
cosa.
Ad agosto è diventato
papà, a settembre si è sposato. Come è cambiata la sua vita?
Enormemente.
Un figlio ti fa stare più con i piedi per terra. Mi sento più responsabile e ho
capito che non sono più io il centro della mia vita, ma è lui.
Ho letto che lei
frequenta gli amici di sempre, e i colleghi?
Anche
con loro ci vediamo spesso. Sul set di Romanzo Criminale sono nate belle
amicizie. Vedo sempre Alessandro Roja, Francesco Montanari, Andrea Sartoretti.
E poi è un piacere passare belle serate con Valerio Mastandrea quando capita,
con Picchio (cioè Pierfrancesco Favino n.d.r.) e con Claudio Santamaria.
A proposito di Favino,
lei ha detto che si taglierebbe un braccio per lavorare con lui. Lanciamo un
appello dalle pagine di Metro.
Picchio,
pur di dividere il set con te con te farei qualsiasi cosa. Mi basterebbe portarti
una spremuta oppure dirti anche una sola battuta.
Aspetta sempre la
chiamata di Ozpetek, Martone, Sorrentino e soprattutto Bellocchio, ha avuto
delle parole meravigliose per lui…
Sì
l’ho conosciuto e mi ha impressionato. Ha uno spirito da ventenne, un
immaginario e una forza espressiva enorme. Sì, vorrei lavorare con lui.
E pensare che grazie a
quella giornata sul set di “Bop Decameron” di Woody Allen, non solo ha girato
con un mostro sacro, ma s’è pure innamorato di Roberto Benigni. Perché?
E’
un uomo enorme, straordinario. Si è avvicinato lui a me per farmi i complimenti
per l’interpretazione di “20 sigarette”. Non potevo crederci! Mi è sembrato un
sogno. Uno dei giorni più belli della mia vita.
E in tv?
Aspetto
la cosa giusta, forse potrebbe essere un film in due puntate.
Se non avesse fatto l’attore,
cosa avrebbe voluto fare?
Più
che fare, avrei voluto essere Emir Kusturica.