mercoledì 7 marzo 2012

Claudio Santamaria: "Dico parolacce e faccio il maleducato ma solo sulla ribalta"

di Barbara Nevosi

Al cinema è protagonista de “Gli sfiorati” di Matteo Rovere e “Diaz” di Daniele Vicari, a teatro invece,  è impegnato in “Occidente solitario”, la commedia noir dai risvolti grotteschi scritta dal commediografo e cineasta Martin McDonagh. Periodo felice per Claudio Santamaria che ritroviamo sulla ribalta dell’Ambra Jovinelli (dal 15 al 25) accanto a Filippo Nigro, Nicole Murgia e Massimo de Santis, diretto da Juan Diego Puerta Lopez.

Claudio, chi è Coleman?
E’ il fratello maggiore di Valene (Filippo Nigro n.d.r.), col quale è in perpetuo conflitto. Coleman è un istintivo, molto fisico, legato ai bisogni primordiali. E’ uno che si gratta, si mette le dita nel naso, dice parolacce. E’ rozzo, una bestia.

Punti di contatto col personaggio?
Spero di non averne nessuno…Da quando siamo in scena Filippo crede che io sia un coatto e invece cerco di spiegargli che è Coleman che mi tira fuori questo aspetto rude (ride).

Come vi siete conosciuti lei e Nigro?
Incontrai Filippo una sera d’autunno sotto Ponte Sisto (scoppia a ridere n.d.r.). Seriamente, abbiamo la stessa agente. Lavorare con lui è divertente, a volte il lavoro vero non è stare nel personaggio, ma cercare di non riderci in faccia.

Sì, ma in scena siete cattivissimi, una sorta di Caino e Abele dei giorni nostri. Lei è più Caino o Abele?
Sono più Caino, Coleman è più crudele di Valene.

E nella vita?
Sono un pezzo di pane.

La commedia porta in scena il conflitto, è una realtà che le appartiene?
Adesso sono più pacifico, in generale tendo a placare  i conflitti, ma non su certi atteggiamenti: invadenza, maleducazione, mancanza di rispetto.

Avete pensato di trasformare la commedia in un film?
Perché no, il testo si presta molto alla versione cinematografica. Sarebbe bello fare un film sulla trilogia di McDonagh e con la sua regia.

Due film in sala e la tournée teatrale. Che periodo è?
Faticosissimo, non mi fermo da due anni. Sono soddisfatto anche se la tournée è stressante, ma il gruppo è talmente affiatato che mi ripaga di tutto.

Qualche collega ha scritto che Muccino fa ottimi film all’estero, ma in Italia lo chiamano solo per fare “Baciami ancora”. Il suo amico Gabriele è poco apprezzato in patria?
Sì, però a me piacerebbe molto lavorare con quel gruppo di attori (Giorgio Pasotti, Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi etc.). Girare con Gabriele, che fa un lavoro incredibile sugli attori tirando fuori lati sconosciuti di ognuno, è una esperienza umana che arricchisce. Senza questo il film è fine a se stesso. Non dimentichiamo che il percorso attoriale è un percorso di crescita.

Ho letto che lei avrebbe fatto figli già a 20 anni e che oltre a Emma ne vuole altri. Come l’ha cambiata la paternità?
Mi sono calmato molto sul lavoro, prima mi struggevo per dei dettagli, ora non sono più vitali. Un figlio ti fa scoprire l’amore eterno, quello che non finirà mai.

E con Emma che padre è?
Non so, me lo dirà lei da grande. Per ora ci divertiamo insieme e cerco di crescerla senza viziarla eccessivamente.

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